Immagino un treno, e qualcuna delle sue possibili destinazioni.
Sopra il treno, seduta in un qualunque scompartimento vuoto, naturalmente immagino te.
Il paesaggio è deserto, poche case, forse boschi, odori.
Nel sedile al tuo fianco hai posato con cura la tua piccola valigia da viaggio, piena dei vestiti che in questo sprazzo d’estate hanno saputo respirare il vapore delle notti nelle scogliere, e le nebbie cristalline delle loro onde, e gli abbracci evanescenti delle loro braci.
Sotto il letto hai dimenticato un orecchino circolare, quello stesso che per gratitudine non ti ho mai voluto rubare, quello stesso che il destino mi ha regalato per inganno, e che adesso stringo in una mano, e che tu non trovi, o più semplicemente non hai intenzione di cercare.
Io ti siedo di fronte, osservo il sentiero che la piega dei capelli ti traccia sulla fronte, e che somiglia a un cerchio irregolare, forse incompleto.
Il sole che accompagna il treno illumina e riscalda il finestrino del tuo vagone, lo trasforma in uno specchio, e lo specchio diventa il dipinto di un artista minore, il ritratto della tua immagine assorta.
In quello stesso specchio, non osservato, ti posso continuare a guardare.
Non conosco il giorno in cui hai deciso di partire, non conosco quale vento o quale uomo ti ha guidato a una stazione, non conosco se la scelta del treno contenga in sé domande o se ammetta risposte, non conosco il luogo in cui essa ti potrà portare.
Intanto osservi pigramente la noiosa consuetudine che circonda le rotaie, ed io l’inutile coerenza della loro corsa parallela, come fossero due compagni di viaggio occasionali, e del tutto indifferenti.
Nulla intorno ha le forme e i colori che hai sognato, e il viaggio accorda tutti e soli gli strumenti che io non ho mai suonato.
Sono sceso dal treno, ora, nelle fotografie scattate si riconoscerà il tuo profilo di montagna, nell’umido profumo delle valli l’ombra della tua schiena.
Seduto di fronte a me un uomo mi invita a bere.
E’ questa la solitudine che legge nei miei occhi, o è piuttosto la sua stessa sete?
Immagino un treno, e nessuna delle sue possibili destinazioni.
E penso che il silenzio di uno scompartimento vuoto è forse lo stesso silenzio di un uomo e di una donna che viaggiano insieme verso l’indefinita lontananza dell’orizzonte, ma ha senz’altro un senso molto più semplice da decifrare.
22 agosto 2003
