(Da vecchio sarò retorico e scorbutico,
sgradevole estremizzazione della giovinezza)
Tutto iniziò la sera di una domenica in Settembre, quando con dispettoso vezzo la città decise che poteva imitare Parigi, ed elegantemente ne volle raggiungere l’insonnia, sempre con un’aria provinciale che, per sua fortuna, non si addice alla nobiltà.
A volte un’emozione è una cometa, può raggiungere lo zenit della sua vanitosa esposizione, specchiarsi nel breve istante in cui gli occhi desiderati incontrano i tuoi desideranti, è un grido, o un sussurro, una mano, un vortice, un soffio delicato per non disturbare.
I naviganti, in antichità astronomiche, scelsero la regolare fissità della stella polare per indovinare rotte. In tutti gli altri casi affidarono a memorie di naufragi l’improbabile immortalità delle propria vita.
A volte uno scroscio di ira è un buio denso, nessun riferimento per la sicurezza di un sostegno, di un gesto, di un punto da fissare, è l’annaspare disperato di chi non sospetta annegamenti, e ne viene risucchiato.
Poi alcuni presenti, testimoni attendibili dell’evento, raccontano che quando l’emozione mutò in rabbia la notte era già trascorsa, e affermano quindi con assoluta sicurezza che nessun tipo di cometa può essere invocato a paragone.
A volte il percorso di un uomo segue le traiettorie delle intuizioni, così mi trovo qui, ora, a vaneggiare su oggetti e azioni che appartengono alla sfera del passato, come un silenzio astioso e odiato che all’improvviso, inconsapevolmente, sfuma in sorriso.
14 febbraio 2005
