Archivi categoria: Prose

Un quadro di Hopper

Abbiamo visto il suo occhio guardare l’obiettivo.
Lo sguardo vitreo osservava il ricordo di sé bambina.
Non dormiva.


Un uomo siede sul letto disfatto, porta le mani tra i capelli, esamina, riflette, è solo.


Abbiamo considerato assente il suo sguardo drogato, avremmo dovuto riconoscerne molto prima l’abbandono.


Mi offrono un perdono come assoluzione, il silenzio come dimenticanza.


Esistono registi occulti, mandanti, vittime ed esecutori.
Semplicemente avrei potuto scegliere di non essere tra i complici.

12 dicembre 2017


Ultimo mal di testa

Ricostruendo i fatti, credo che la causa sia stato il mio ultimo mal di testa.

Preciso, prima di tutto, che non deve trattarsi esattamente di mal di testa, ma più propriamente di nevralgia.
Una lama di coltello si infila nel mio occhio sinistro e vi rimane ben piantata per ventiquattro ore circa.


L’ultimo mal di testa è sopraggiunto durante il pomeriggio di un sabato, per poi maturare col passare delle ore.
Ricordo tutto di quella notte e delle visite tormentate del dormiveglia: tutti i volti, gli odori, le colpe.


Credo che fu durante quella notte, in quel mal di testa che io abbia perduto il mio desiderio di allegria.
Il coltello ha aperto un varco nel mio occhio sinistro, e attraverso quel varco il buio è penetrato furtivamente ad avvolgere i pensieri con la nebbia di incubi permanenti.


Adesso continuo a vivere tranquillamente, cerco sapientemente di sottrarmi il più possibile al contatto con la gente, e a quei pochi con cui mi capita di intrattenermi dispenso sorrisi superficiali.
Ma non sono sorrisi di circostanza: cerco sinceramente di prevenire la seppur minima probabilità di contagio.


Aspetto pazientemente di trovare una soluzione a questo male, ma senza prodigarmi in un impegno eccessivo, forse semplicemente al prossimo mal di testa proverò ad addormentarmi sotto il sole.


Attraverso i vetri scruto l’aria invernale.
Fuori continua a piovere.

22 gennaio 2014


Il cerchio

Adoro le storie dai percorsi circolari, perché è la vita ad apparirmi come un continuo perdere e tornare.

Io i miei cerchi sono solito tracciarli sulla sabbia, o su altro materiale altrettanto deformabile, perché siano sufficientemente irriconoscibili al mio prossimo passaggio.


Osservo il continuo movimento di persone differenti che si soffermano, indugiano, ripartono, in una vita popolano senza sosta la mia mente.


Il cerchio mi rimanda a un’idea di perfezione, per questo ho inserito nel mio brano due errori: la mia mente è un luogo arido di affetti e certe storie sono un rifugio immaginario.

08 Novembre 2013


Un giro di parole

Facciamo il giro dell’isola?
La ragazza lo prese per mano e,sorridendo, gli sussurrò qualcosa; a bordo di un motorino smarmittato si allontanarono dalla piazza del paese, dall’unico bar, da quei tavolini.
Si fermarono al faro, che quella sera parve ad entrambi il luogo migliore in cui fare l’amore.


L’evoluzione della lingua racconta l’evolversi di un popolo, le sue abitudini, i suoi costumi.
E intanto seduto sul divano tu completi l’ultimo giro di canali (Venezia è lontana, fuori splende il sole).


Un’unica strada effettua il periplo dell’isola.
Doveva essere un attore, uno scrittore, forse un lettore appassionato, oppure, più semplicemente, un gran camminatore.

22 agosto 2013


Retorica di una cometa.

(Da vecchio sarò retorico e scorbutico,
sgradevole estremizzazione della giovinezza)

Tutto iniziò la sera di una domenica in Settembre, quando con dispettoso vezzo la città decise che poteva imitare Parigi, ed elegantemente ne volle raggiungere l’insonnia, sempre con un’aria provinciale che, per sua fortuna, non si addice alla nobiltà.

A volte un’emozione è una cometa, può raggiungere lo zenit della sua vanitosa esposizione, specchiarsi nel breve istante in cui gli occhi desiderati incontrano i tuoi desideranti, è un grido, o un sussurro, una mano, un vortice, un soffio delicato per non disturbare.


I naviganti, in antichità astronomiche, scelsero la regolare fissità della stella polare per indovinare rotte. In tutti gli altri casi affidarono a memorie di naufragi l’improbabile immortalità delle propria vita.

A volte uno scroscio di ira è un buio denso, nessun riferimento per la sicurezza di un sostegno, di un gesto, di un punto da fissare, è l’annaspare disperato di chi non sospetta annegamenti, e ne viene risucchiato.

Poi alcuni presenti, testimoni attendibili dell’evento, raccontano che quando l’emozione mutò in rabbia la notte era già trascorsa, e affermano quindi con assoluta sicurezza che nessun tipo di cometa può essere invocato a paragone.


A volte il percorso di un uomo segue le traiettorie delle intuizioni, così mi trovo qui, ora, a vaneggiare su oggetti e azioni che appartengono alla sfera del passato, come un silenzio astioso e odiato che all’improvviso, inconsapevolmente, sfuma in sorriso.

14 febbraio 2005

 


L’ orizzonte e il silenzio.

Immagino un treno, e qualcuna delle sue possibili destinazioni.

Sopra il treno, seduta in un qualunque scompartimento vuoto, naturalmente immagino te.
Il paesaggio è deserto, poche case, forse boschi, odori.
Nel sedile al tuo fianco hai posato con cura la tua piccola valigia da viaggio, piena dei vestiti che in questo sprazzo d’estate hanno saputo respirare il vapore delle notti nelle scogliere, e le nebbie cristalline delle loro onde, e gli abbracci evanescenti delle loro braci.
Sotto il letto hai dimenticato un orecchino circolare, quello stesso che per gratitudine non ti ho mai voluto rubare, quello stesso che il destino mi ha regalato per inganno, e che adesso stringo in una mano, e che tu non trovi, o più semplicemente non hai intenzione di cercare.


Io ti siedo di fronte, osservo il sentiero che la piega dei capelli ti traccia sulla fronte, e che somiglia a un cerchio irregolare, forse incompleto.

Il sole che accompagna il treno illumina e riscalda il finestrino del tuo vagone, lo trasforma in uno specchio, e lo specchio diventa il dipinto di un artista minore, il ritratto della tua immagine assorta.
In quello stesso specchio, non osservato, ti posso continuare a guardare.
Non conosco il giorno in cui hai deciso di partire, non conosco quale vento o quale uomo ti ha guidato a una stazione, non conosco se la scelta del treno contenga in sé domande o se ammetta risposte, non conosco il luogo in cui essa ti potrà portare.


Intanto osservi pigramente la noiosa consuetudine che circonda le rotaie, ed io l’inutile coerenza della loro corsa parallela, come fossero due compagni di viaggio occasionali, e del tutto indifferenti.
Nulla intorno ha le forme e i colori che hai sognato, e il viaggio accorda tutti e soli gli strumenti che io non ho mai suonato.


Sono sceso dal treno, ora, nelle fotografie scattate si riconoscerà il tuo profilo di montagna, nell’umido profumo delle valli l’ombra della tua schiena.
Seduto di fronte a me un uomo mi invita a bere.
E’ questa la solitudine che legge nei miei occhi, o è piuttosto la sua stessa sete?


Immagino un treno, e nessuna delle sue possibili destinazioni.


E penso che il silenzio di uno scompartimento vuoto è forse lo stesso silenzio di un uomo e di una donna che viaggiano insieme verso l’indefinita lontananza dell’orizzonte, ma ha senz’altro un senso molto più semplice da decifrare.

22 agosto 2003